
Nell’epoca dei leoni da tastiera, in cui lo scemo del bar sport si trasforma in raffinato intellettuale e megafono del potente di turno, il giornalismo non poteva certo rimanere immune. Anzi, è entrato a pieno titolo nella gara a “chi la spara più grossa”, una competizione feroce dove la verità è un optional e la dignità professionale un fastidioso dettaglio. Così, tra titoli urlati, indignazione a comando e acrobazie dialettiche per giustificare l’ingiustificabile, assistiamo ogni giorno a un carosello di opinionisti che sembrano più tifosi che cronisti, più imbonitori che analisti.
E il pubblico?
Il pubblico assolve, giustifica, minimizza: “Tutti abbiamo famiglia, dobbiamo pur campare”. Come se la resa all’opportunismo fosse una legge di natura, come se il giornalismo, un tempo voce critica e indipendente, fosse ormai solo un’appendice del potere, un’eco del pensiero dominante, pronto a cambiare bandiera al primo cambio di vento.
E allora non è raro imbattersi in editoriali di inestimabile profondità, analisi illuminanti che gettano nuova luce sulla complessità del mondo contemporaneo. Insomma, autentiche pietre miliari del giornalismo… o almeno così vorrebbero farci credere. In realtà, spesso si tratta di capolavori involontari(?) dell’arte del servilismo, esercizi di equilibrismo retorico in cui la logica si piega con eleganza alle esigenze del potente di turno.
Campione di penna piegata
Uno dei campioni di questa nobile disciplina, un vero maratoneta della penna piegata a novanta, è Mario Sechi. Con poche righe, è riuscito non solo a mortificare l’intelligenza dei suoi lettori, ma anche la propria, regalando al panorama giornalistico un pezzo che non avrebbe sfigurato nell’ufficio stampa del Minculpop. Un editoriale così ossequioso da far impallidire i manuali di propaganda, una prosa così solenne e deferente che viene quasi da chiedersi se, nel frattempo, abbia ricevuto un invito a corte o una medaglia al valore per il suo encomiabile zelo.
“giornalista più allineato dell’anno”
Ma Sechi non è certo solo in questa corsa sfrenata al titolo di “giornalista più allineato dell’anno”. La categoria pullula di concorrenti agguerriti, professionisti dell’inchino, specialisti del cerchiobottismo, strateghi della narrazione conveniente. Perché, in fondo, l’informazione moderna è diventata una partita di prestigio: si fa finta di analizzare, si simula un dibattito, si impacchetta un’opinione prefabbricata e la si vende come verità rivelata. E il pubblico? Beh, il pubblico è chiamato ad applaudire e a credere. Oppure a voltarsi dall’altra parte, con la solita rassegnazione: “Tutti abbiamo famiglia, dobbiamo pur campare” e quando tutto ciò non basta, c’è sempre qualcuno che potrà dire “Bau Bau” per innalzare il livello del dibattito.
Nouvelle Marianne” del Testaccio
Per Sechi, Giorgia Meloni è la scossa che risveglia un’Europa intorpidita, la fiaccola che illumina il cammino di un continente sonnambulo. È la “Nouvelle Marianne” del Testaccio, la nuova Giovanna d’Arco pronta a impugnare la spada per salvare le sorti dell’Occidente, tra un comizio infuocato e una citazione di Tolkien.
“Con Donald Trump gli Stati Uniti non sono più una potenza in declino, goffamente inciampata sulla scaletta dell’Air Force One, ma tornano a essere la forza che trasforma il mondo”. Una benedizione, per Sechi, in un panorama globale disseminato di istituzioni fallimentari. “L’Onu e la Corte penale internazionale sono organismi falliti,” proclama Sechi. “Il destino dell’Europa non si decide nel Palazzo di Vetro, dove si agitano satrapi e antisemiti; la sicurezza dell’Italia non può dipendere da un tribunale screditato con sede all’Aia.”
Il futuro della nazione, nelle intenzioni di Sechi, risiede nel rapporto privilegiato con Washington, mentre il governo Meloni tesse una rete di alleanze che si estende dall’Atlantico al Mediterraneo, fino all’Indo-Pacifico. A leggere l’analisi dell’ex portavoce del governo Meloni, l’Italia sembra ormai pronta a candidarsi per diventare la 51ª stella della bandiera a stelle e strisce.
I soliti giudici guastafeste
Nel frattempo, a Washington, il neopresidente Trump si scontra con una realtà che sembra aver sottovalutato: l’esistenza dei tribunali. Gli stessi che lo hanno già condannato per il caso Stormy Daniels, ora frenano la sua corsa a colpi di ordini esecutivi. Uno dei primi stop arriva proprio sulla questione dello Ius soli: la magistratura respinge il suo tentativo di cancellare con un tratto di penna il diritto di cittadinanza per nascita.
Ma non è l’unico ostacolo giudiziario che Trump deve affrontare. Altri tribunali stanno esaminando la legittimità delle sue mosse, mentre l’opposizione democratica e alcune frange repubblicane cercano di contrastare la sua agenda. Il braccio di ferro tra Casa Bianca e sistema giudiziario si preannuncia lungo e feroce, con il rischio di una paralisi istituzionale che potrebbe infiammare ulteriormente un Paese già polarizzato.
Chissà, forse la nostra presidente del Consiglio ha trovato il tempo di offrire qualche suggerimento al presidente Trump su come affrontare la magistratura. Dopotutto, in Italia l’arte di delegittimare i giudici, screditare le istituzioni e attaccare quotidianamente la Costituzione è una pratica ben rodata. Un’esperienza che potrebbe tornare utile a un presidente che, nel giro di pochi minuti, ha ribattezzato il Golfo del Messico—chiamato così da secoli—con il più patriottico e autoreferenziale “Golfo d’America”, come se bastasse un colpo di penna per riscrivere la geografia.
Del resto, Trump non è nuovo a simili colpi di scena. Dalla minaccia di “comprare” la Groenlandia, come fosse un pezzo di real estate di Manhattan, alla suggestione di mettere le mani sul Canale di Panama, il suo approccio alla politica estera somiglia più a quello di un magnate immobiliare in vena di shopping che a quello di un presidente consapevole del peso delle relazioni internazionali.
Arrivano i nostri
Eppure, c’è chi lo applaude. Mario Sechi, per esempio, sembra guardare a tutto questo con l’entusiasmo di chi è cresciuto a pane e western, convinto che l’arrivo dei “nostri” possa risolvere qualsiasi situazione con una rapida scazzottata e un colpo di fucile ben assestato. Ma la realtà è ben più complessa di una sceneggiatura hollywoodiana, e la storia insegna che il mondo non si governa a colpi di slogan, effetti speciali e narrazioni sensazionalistiche, soprattutto quando a sostenerle è un giornalismo mediocre e compiacente.