Istanbul di Alex Webb

4 mins read

Un simpatico aneddoto mi lega a questo libro. Durante uno dei miei tanti viaggi di lavoro, soggiornando a New York per alcuni giorni, come sempre mi sono recato nella mia libreria preferita, Barnes & Noble in Union Square. In realtà quel luogo è più che una libreria, è un paradiso per gli amanti della carta stampata, dalle riviste, ai libri e a qualunque altra cosa stampata su carta. Ci si può intrattenere per giorni, sfogliando e consultando tutto quello che si desidera: non ci sarà mai nessun commesso che vi guarderà male perché vi siete seduto a terra tra gli scaffali con una pila di libri da sfogliare. E io imparai velocemente, imitando i newyorchesi. Il libro Di Alex Webb, Istanbul – City of hundred names, credo fosse stato appena pubblicato, a penna segno sempre il luogo e la data dell’acquisto, in questo caso è N.Y 7/02/2008. Il libro mi segui per i due mesi di trasferte che seguirono, togliendolo e rimettendolo in valigia per un bel po’ di volte. Arrivò a casa esausto, la copertina reca ancora le macchie di un bar di Bogotá, dove l’avevo mostrato a un amico. Alcune pagine non avevano retto la pressione delle valige zeppe all’inverosimile.

Giunto a casa cercai di rimetterlo in sesto, pulito e attaccate le pagine ballerine l’ho messo in libreria assieme agli altri. Un paio d’anni fa, durante la presentazione di un altro libro, incontrai Alex Webb alla Galleria Leica a Milano, ne approfittai per portare il libro che avevo acquistato a NY più di dieci anni prima per farglielo firmare. Dopo averlo autografato, si tolse gli occhiali, alzò lo sguardo e mi disse “usi sempre così i tuoi libri, come un vassoio?” Ovviamente, sul momento arrossii, superato l’imbarazzo gli raccontai la storia di quell’acquisto che mi aveva seguito per oltre due mesi di lavoro per mezzo mondo e che era stato motivo di incontri, chiacchiere al bar con amici, e lunghe consultazioni nelle sale d’attese degli aeroporti. Fu così felice che mi regalò un altro dei suoi libri, raccomandandomi, questa volta, di farlo viaggiare meno. In effetti da fine 2008 il mercato del lavoro per i fotogiornalisti sapete che fine ha fatto, poche e sparute produzioni.

Il genere “street photography” ha così tanti maestri e stili che non è semplice etichettare o stabilire chi sia il rappresentante più autorevole o chi sia il più importante interprete di questa affascinante declinazione della fotografia contemporanea. Alex Webb non è di immediata lettura, ti costringe a guardare più e più volte le sue immagini per scoprire sempre che la volta precedente qualcosa vi era sfuggito. Forse per questo l’avevo tirato fuori dalla valigia così tante volte. Ancora oggi, quando mi capita di sfogliarlo, mi viene voglia di spolverare la mia Leica e partire… magari per Istanbul, città dove mi sono recato un paio di volte ma non posso dire di aver visitato, troppo grande e troppo complicata da poter cogliere l’essenza in pochi giorni, non a caso, Alex Webb ha cominciato a frequentarla dal 1998, ininterrottamente, per arrivare a pubblicare questa spendita raccolta di scatti.  

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Next Story

Le foto del genocidio abbellite e colorate