Il Giorno della Memoria, istituito per ricordare lo sterminio di sei milioni di ebrei, insieme a oppositori politici, rom, omosessuali e altre minoranze perseguitate dal regime nazista, non è solo un richiamo al passato, ma un monito sul pericolo sempre presente di odio, razzismo e intolleranza. Eppure, questa giornata assume una dimensione complessa e spesso contraddittoria, soprattutto se letta alla luce delle tensioni politiche e sociali del nostro tempo, dove il riemergere dell’antisemitismo e le sofferenze inflitte al popolo palestinese pongono interrogativi urgenti.
Quale memoria?
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una recrudescenza dell’antisemitismo su scala globale. Attacchi contro sinagoghe, profanazioni di cimiteri, aggressioni fisiche e la diffusione virale di teorie complottiste antisemite dimostrano che il pregiudizio contro gli ebrei è tutt’altro che relegato al passato. Questo fenomeno non è solo un’ombra della storia, ma una realtà tangibile che richiede un impegno costante per essere combattuta. Tuttavia, le commemorazioni della Shoah rischiano di perdere la loro forza trasformandosi in rituali privi di sostanza, se non accompagnate da azioni concrete per contrastare le nuove manifestazioni di odio. La memoria non può appartenere a una sola parte o a una sola minoranza; deve essere un patrimonio collettivo, capace di parlare a tutti e di sfidare le ingiustizie del presente.
Al tempo stesso, il Giorno del Ricordo non dovrebbe essere confinato a una visione autoreferenziale di un sionismo ripiegato su se stesso, distante dalle sue intenzioni originarie. Nelle prime fasi del movimento, il sionismo mirava a garantire al popolo ebraico un “focolare nazionale” in Palestina, come sancito anche dal Regno Unito, che si impegnò a destinare quei territori per tale scopo. Tuttavia, questo progetto includeva un chiaro vincolo: non doveva ledere «né i diritti civili e religiosi» delle popolazioni già presenti, né compromettere «lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni». La realtà odierna, segnata dall’occupazione, dagli insediamenti illegali e dalla violenza nei territori palestinesi, racconta un epilogo ben diverso, aprendo ferite ancora sanguinanti.
La contraddizione del presente
Oggi, il significato del Giorno della Memoria si intreccia inevitabilmente con le sofferenze vissute dal popolo palestinese. L’espansione degli insediamenti nei territori occupati, la militarizzazione della Cisgiordania, le rappresaglie a Gaza e gli sgomberi forzati di comunità palestinesi aggiungono un nuovo livello di complessità a questa commemorazione. Mentre si ricorda il genocidio che ha colpito gli ebrei, non si può ignorare la condizione di un altro popolo che subisce quotidianamente restrizioni, privazioni e violenze. Quasi cinquantamila morti palestinesi dall’inizio dell’operazione “Piombo Fuso” sollevano domande scomode: è possibile commemorare una tragedia senza affrontare le ingiustizie attuali? È legittimo separare le memorie delle vittime dalla realtà di nuove sofferenze?
Per molti, accostare l’Olocausto alle morti palestinesi potrebbe apparire irrispettoso, quasi una forzatura che riduce la dignità delle tragedie a un confronto sterile. Da un lato, le vittime innocenti di un’ideologia genocida; dall’altro, un popolo segnato dall’occupazione e dalla privazione dei diritti fondamentali. Tuttavia, è proprio questa tensione a interrogare la nostra coscienza collettiva. Commemorare il passato senza riconoscere le disumanizzazioni del presente rischia di trasformare la memoria in un esercizio vuoto e autoreferenziale.
Il valore universale della memoria
Il Giorno della Memoria non può essere soltanto un momento per ricordare ciò che è stato, ma deve rappresentare un’opportunità per riflettere su ciò che è e su ciò che potrebbe essere. La Shoah non è solo una tragedia ebraica; è un monito universale sui pericoli dell’odio, del razzismo e della disumanizzazione. Allo stesso modo, la sofferenza del popolo palestinese ci invita a considerare come le dinamiche di esclusione e oppressione possano perpetuarsi in forme diverse, ma ugualmente ingiuste.
La memoria, se disconnessa dalla consapevolezza del presente, perde il suo valore trasformativo. Non basta ricordare; è necessario agire, interrogarsi, costruire ponti. Solo così il ricordo diventa un vero strumento di cambiamento, capace di illuminare il futuro e prevenire nuove tragedie. Il Giorno della Memoria, in questo senso, non è solo un atto di omaggio alle vittime del passato, ma un impegno a difendere i diritti umani, ovunque e per chiunque.
Grazie, grazie.
Mi complimento con Lei, i suoi scritti si fanno leggere, mi scuso del paragone, “come un uomo affamato”.
Sono così interessanti, scritti con penna leggera, colmi di contenuti che sono dei veri “saggi”.
Grazie per le sue belle parole.
Qui, mi dissocio. Ti ricordo che i Palestinesi hanno sempre e vogliono tuttora la SOLA distruzione di Israele. 700 km di tunnel sotterranei nel silenzio totale dell’ONU. I Palestinesi non hanno mai costruito niente se non distruggere tutto. Hanno collaborato con i nazisti. Io prrchè devo dimenticare che i Palestinesi hanno aiutato i nazisti allo sterminio degli ebrei? I palestinesi non sono una democrazia, sono guidati da un terrorista che fomenta odio, usa i bambini e ospedali come scudi umani. Io da cittanino democratico perchè dovrei difendere tutto questo?
qui c’è un falso storico enorme, i palestinesi che hanno collaborato con i nazisti è la bufala che qualche mistificatore tenta di spacciare come foglia di fico alla verità storica. In quanto al fatto che i palestinesi non sono una democrazia bisogna prima dar loro la possibilità di avere un futuro, una possibilità di dormire nelle loro case, di pianificare una vita sulle loro terre… già le loro terre, è proprio questo il problema. Il peggior nemico di Israele non sono solo i palestinesi ma i fondamentalisti ebrei che al pari di quelli islamici professano la completa scacciata da Israele di tutti i non ebrei… con diverse sfumature. Ho una profondo rispetto per le vittime dell’Olocausto, ma mi vergogno e penso a come molti di quei poveri ebrei morti nei campi di sterminio oggi siano usati come motivo per cui a Israele tutto deve essere permesso.
Vuoi forse dirmi che Al-Ḥusaynī abbia incontrato Hitler per caso, in amicizia a Berlino nel 1941? Un bell’amico.
Leggi qui: https://www.thecorrespondent.it/2025/01/24/i-veri-nemici-di-israele-bufale-cattiva-informazione-e-zelanti-disinformatori/