I piccoli cambiamenti, le piccole rivoluzioni, quelle che a prima vista sembrano insignificanti e che non lasciano presagire un’influenza sul corso degli eventi, sono invece le azioni che dobbiamo imparare a coltivare, a praticare, a introdurre nella nostra vita quotidiana. Direte voi: ma come potrebbe un’azione di un singolo individuo, di fronte a questa realtà distopica in cui ci troviamo, avere un impatto? Eppure, la storia è costellata di esempi di rivoluzioni e cambiamenti epocali che sono nati proprio dall’iniziativa di uno solo. Mi vengono in mente grandi figure come Mahatma Gandhi, Nelson Mandela, Gesù Cristo – esempi storici che, pur distanti nel tempo e nel contesto, dimostrano come un individuo, con determinazione e visione, possa avviare un processo di trasformazione che travolge le generazioni. Le azioni di una sola persona possono riscrivere il futuro, ed è proprio questo il punto: non sono i grandi gesti a cambiare il mondo, ma i piccoli atti che, accumulati nel tempo, possono innescare quella forza invisibile in grado di ribaltare le sorti di intere società.
Abbiamo la tendenza a credere che la nostra condizione di vita – economica, lavorativa, sociale – sia immutabile, una sorta di stato naturale, un equilibrio acquisito che non può essere scalfito. Eppure, ogni giorno, una legge, un decreto-legge, un piccolo ma significativo intervento legislativo corrode, lentamente ma inesorabilmente, quelle cose che riteniamo inamovibili, che pensiamo di aver conquistato una volta per tutte. La partecipazione politica, che un tempo era il motore di ogni cambiamento, oggi sembra aver ceduto il passo all’indifferenza. L’indignazione, che in passato ci avrebbe fatto sobbalzare di fronte a ingiustizie e abusi di potere, sembra essere diventata una reazione rara, quasi estranea. Le battaglie che un tempo animavano le piazze ora faticano a trovare terreno fertile. Il nostro impegno sembra sgonfiarsi, assorbito dalla routine quotidiana, dal lavoro, dalle difficoltà che ci invadono.
Eppure, proprio in questo periodo di disillusione, dovremmo ricordare che la politica non è qualcosa di lontano, ma è il campo in cui ognuno di noi può agire. Non è solo nelle urne che si gioca il nostro destino, ma nella partecipazione attiva, nel rifiuto di accettare passivamente le ingiustizie, nel contrastare la normalizzazione di ciò che è sbagliato. La mancanza di indignazione, di un sussulto di coscienza, è il terreno fertile in cui cresce l’autoritarismo, la perdita di diritti, la disuguaglianza. Ci siamo abituati, ci siamo rassegnati. Eppure, la storia ci insegna che la vera forza del cambiamento risiede nelle piccole azioni, nelle voci che si uniscono contro il conformismo, nelle scelte quotidiane che, se fatte con convinzione, possono scardinare il sistema. Non è troppo tardi per risvegliare la nostra indignazione, per reagire con forza alle ingiustizie che oggi, come mai prima, ci vengono imposte.
In queste ore, il governo ha tentato di introdurre un decreto sicurezza che va oltre ogni limite, ipotizzando addirittura che i servizi segreti possano costituire cellule e organizzazioni con l’obiettivo di destabilizzare l’ordine pubblico e sociale. Un passo che, per un Paese come il nostro, con una lunga e oscura tradizione in cui i servizi segreti hanno avuto le mani in pasta in stragi, depistaggi e coperture a fini politici, suona come una tragica e inquietante conferma di quanto, purtroppo, ci sia poco di nuovo sotto il sole. Le vicende più buie della nostra storia recente sono intrecciate con l’operato di chi dovrebbe proteggere la sicurezza del Paese, ma che spesso si è trasformato in un attore politico, pronto a manipolare le informazioni, a tessere trame per interessi di parte, a orchestrare destabilizzazioni.
Oggi, questa nuova proposta non può che suscitare un senso di inquietudine e di rabbia. Non possiamo fare a meno di chiederci: siamo davvero pronti a vedere un’altra pagina di questa tragica tradizione? Come possiamo, da cittadini, rimanere in silenzio di fronte alla possibilità che i servizi segreti, la cui unica funzione dovrebbe essere quella di difendere il nostro Stato da minacce esterne e interne, possano invece essere utilizzati per alimentare il caos e la paura, come se nulla fosse cambiato dal passato? È come se la storia si ripetesse, come se quel capitolo di ombre e complicità non fosse mai stato chiuso. E in tutto ciò, il pericolo è che il nostro spirito di indignazione, che dovremmo ritrovare con forza, venga sopraffatto dalla paura e dalla rassegnazione. Ma non possiamo permettercelo: dobbiamo ricordare, più che mai, che la democrazia si difende anche nei piccoli dettagli, nelle leggi che passano inosservate, nei gesti quotidiani di vigilanza. La tradizione di corruzione e manipolazione che stiamo vivendo oggi è l’eredità di un passato che ancora non siamo riusciti a superare. Sta a noi scegliere se accettarlo o lottare per qualcosa di diverso.
E allora, quando avrete l’opportunità, dimostrate il vostro dissenso. Non abbiate paura di dire che non siete d’accordo, che non accettate supinamente questa lenta e inesorabile erosione della libertà, della nostra democrazia – una democrazia che, pur con mille difetti, è nata dalla volontà popolare, è il frutto di lotte e sacrifici. Non potete rimanere in silenzio davanti a chi tenta di stravolgere le fondamenta stesse della nostra convivenza civile, a chi minaccia di trasformare lo Stato da custode dei diritti a strumento di controllo.
Indignatevi! Indignatevi davanti a chi tenta di cancellare ciò che è stato conquistato, a chi mina la possibilità di esprimere liberamente il dissenso, a chi svende la sovranità del popolo per meri interessi di potere. Non è una questione di ideologie, non è una questione di partiti: è una questione di principi fondamentali, di rispetto della libertà e dei diritti di ciascuno di noi. Non lasciate che il sistema vi convinza a accettare passivamente, a rassegnarvi alla deriva. La nostra democrazia è fragile, ma è il nostro dovere proteggerla, alimentarla, difenderla da chi cerca di ridurla a un’ombra di ciò che dovrebbe essere.
Se non vi indignate oggi, quando sarà il momento? Se non reagite ora, quando il rischio di perdere tutto ciò che consideriamo acquisito è tangibile, sarete complici di una lenta scomparsa delle libertà fondamentali. Non permettete che la storia si ripeta come una tragedia silenziosa: fate sentire la vostra voce, perché il silenzio diventa complicità.
Non credete che indignarvi, ribellarvi, sembri non portarvi nulla, fatelo almeno per i vostri figli. Cercate di lasciare loro un Paese che i nostri genitori hanno costruito con sacrificio, molti anche con la propria vita. Non possiamo permetterci di cedere alla rassegnazione, di accettare che tutto ciò che è stato faticosamente conquistato venga spazzato via senza reagire. Cerchiamo di lasciare il Paese non peggio di come ce l’hanno consegnato i nostri genitori, affinché le future generazioni possano vivere in una terra di diritti, di libertà, di dignità, e non in una prigione costruita dalla nostra indifferenza.